Bogdan Koshevoj / Jade Forest

Bogdan Koshevoy, Jade Forest, 2023, olio su tela, 170×120 cm.

Delle Fabbriche Del Paesaggio, secondo Dolomiti Contemporanee.

Abbiamo iniziato, da ragazzi, a fare due cose buone due, e non abbiamo più smesso.
Così, queste due cose insistite, che non sono affatto scisse in modo manicheo tra una eterea ed una pratica, hanno contribuito a formare la nostra mente, e il nostro spirito, e la nostra bocca.
Le due cose buone sono: andare in montagna, e leggere a fondo i classici della narrativa e delle scienza, insieme ai migliori commenti esplosi, ovvero alla critica.
Natura e Cultura poi: chi ancora le contrappone, è un girino, fa acqua dal cavallo a pandiculazione, ma qua c’è un gran secco e consapevole, nelle cave le sabbie di giada, tra le sottili zampe chiodate dei grandi aironi metallici, certi mostri esapodi dalle carlinghe scintillanti nella rosta del sole.
Attraverso queste due cose buone, la letteratura e l’arrampicata, pensiamo e sogniamo e avvertiamo concetti e percetti: le connettiamo, da sempre, e poi le connettiamo ad altre cose ed enti ancora: tutti quelli che hanno e propagano senso, o alcuni, singolari, portati in penombra, che tendono a perderlo. 
Per questo motivo, conosciamo sia le idee che il territorio, e però questo non ci spinge affatto a preferire Platone a Thoreau, o il contrario, e questo accade perché la letteratura è la tecnica dell’esperienza, per noi, o il suo nucleo critico radiante, che è la stessa cosa, perché ciò che conta è il nucleo radiante, mentre l’esperienza non ha significato, se non trasformi un sasso.
Cemento, ci si è fatto metà dell’Architettura Alpina, è una grigia igienica vena profonda, Bernhard.

Gli inerti migliori di Corte con la ghiaia del Torrente Boite, ci diceva qualche anno fa Enzo De Pra, mentre lo interrogavamo sul passato, sull’azienda, sul suo rapporto con Gellner, sullo stato eccezionale di conservazione dei cementi di Gellner al Villaggio, e così via.
Del Gruppo F.lli De Pra fa parte anche, dal 1966, Calcestruzzi Dolomiti, con quattro impianti per la produzione di inerti e conglomerati in Provincia di Belluno, uno di quali a San Vito di Cadore.
E lo conosciamo bene, questo stabilimento, perché il verde carico granato dei suoi silos ci colpisce da sempre, perché il nostro occhio disteso tira ed è attratto dai fronti ribaditi e dall’ordini spiccati d’aguglia, altro che merli, etcetera.
Quei verdi ed altri pregni estetici cratoni instaurati c’invischiano proprio come una gomma liquida adesiva, ed oltre a quest’ordine di piani e vernici a colpirci son le FABBRICHE, che sentiamo ansimare nel Paesaggio, e del quale esse si nutrono, anche.
Lì, su quell’ansa della SS51 di Alemagna, allettato sul fondo cogliente soffice di ghiaino bianco come d’agh’insilenti del bosco -e sta proprio in mezzo bosco, ai piedi di Antelao e Sorapis- questo stabilimento, che ci ha sempre colpito, scoccandoci il ciervello come una freccia elastica passante lo schermo dell’iride (Fulci), il verde impressivo che ci ricorda i mille liquidi trasformativi della fantescenza che è un falso antidoto, come il benedetto siero di Herbest West, ed ecco che Bogdan l’ha riportato in questo quadro, Quello Stabilimento Tanto Verde Come un’Aliena Stazione Speziale, perché quando Bogdan è entrato a Corte, nella Selva Dolomitica di Corte a Borca, vi ha trovato, come di consueto, come sospesi nell’aria del paesaggio, e prima di cercarli sulla tela, i pezzi e le parti dei corpi smembrati del suo lavoro, che servono al suo lavoro, che fanno il suo lavoro, e li ha coaugulati, come un cantore, come un patologo, come Ed Gein.
Qui quest’’uomo seduto che guarda è una parte dell’uomo, degli uomini, un personaggio fantastico, che forse esce dalla fabbrica in cui lavora, ed il cui volto celato è anche il volto della coscienza dell’artista stesso che cela le proprie rassegnazioni esistenziali, mentre il bosco rado attorno fiammeggia pur preso dal bostrico, mentre le fabbriche trovate qui non son quelle della terra sua d’Ucraina, naturalmente, perché in ogni luogo la sensibilità attiva recettori specifici, se uno non è fesso nei recettori, e qui Bogdan ha preso quel che ha trovato, ovvero la natura e l’uomo e l’architettura di questa terra, e quelle fabbriche che nella sua produzione abbiamo visto tornare spesso, ma lì era l’Ucraina appunto mentre qui è qui, e quindi quando è arrivato a dipingere in residenza in Progettoborca Bogdan cercava delle altre fabbriche, le vuole gli servono nella composizione nella narrazione, e noi gliene abbiamo mostrate alcune che ci interessano perché pulsano o perché non pulsano più ma potrebbero pulsare ancora, noi siamo cacciatori di clamorosi meccanismi inceppati, ed erano queste fabbriche che lui cercava, non quelle altre ancora, e noi gliele abbiamo date, che mica è nostalgico il lavoro di Bogdan, affatto, e lui le ha prese, perchè invece il suo lavoro è onirico-proiettivo, ne parla anche Eleonora Ghedini, di questa trazione onironautica, nel testo della prima personale di Bogdan, che si intitola Unknown Events e si inaugura alla Barvinskyi Gallery di Vienna venerdì 23 febbraio 2024, e ci trovi alcuni dei quadri fatti a Borcia in questa mostra, e questo è uno di quelli, e i fusti e i fogliami risplendono perché quei colori ti si attaccavano all’appiccichi sinaptici del lobo temporale lo scorso ottobre, i colori dell’autunno quassù rimodulati nell’incalmo colle altre parti nel Sogno Lucido, però niente Don Juan qui, e così via.


Calcestruzzi Dolomiti, l’impianto di San Vito di Cadore (Foto Teresa De Toni)

 

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