Vanja Mervic/Heads

Appena giunto qua la prima volta (2015), Vanja Mervic ha individuato uno degli spazi allora inutilizzati della Colonia: il Laboratorio del Padiglione M, che in seguito ha visto crescere e svilupparsi il Laboratorio/sala studio di Casabella.
Qua Vanja si è installato all’inizio, iniziando a focalizzare il lavoro.
Insieme a Spela Volcic, ha dapprima ripulito e riordinato lo spazio, estraendo dal caos alcuni oggetti significativi (contatori dell’acqua, idranti, cassette metalliche).

Poi si è mosso.
Uno degli stereotipi ricorrenti delle Dolomiti e della montagna, si sa, è il cervo benedetto.
Oltre a ciò, nell’estate 2016, con l’avvento di Cristopher, il cervo è entrato decisamente in Progettoborca, influendo sulla stessa Residenza, e condizionando la vita ed i comportamenti degli artisti, che han dovuto fare i conti con la sua presenza, prestando attenzione ai protocolli di protezione del cervo adottato (e mai domesticato).

Tra i gesti iconici collegati agli ungulati, c’è naturalmente la testata. Nel periodo degli amori, i cervi incrociano le corna, spesso in modo violento, per guadagnarsi il diritto all’accoppiamento con le femmine.
Cos’è la testata?
Su questo ragiona l’artista, interpretandola come una pratica di relazione, umana, sociale.
Nessuna testata è eguale ad un’altra.
Una metafora del rapporto-conflitto.
Nessun rapporto improvviso tra gli uomini, che preveda contatto fisico diretto, prescinde dalle psicologie degli uomini stessi, da una selva di specifiche caratteristiche umane e relazionali, da una miriade di possibili interazioni prossimali.

Vanja ha dunque allestito un set nel Lab, utilizzando materiali reperiti in Colonia.
E, partendo dall’immagine dei cervi in combattimento amoroso, ha chiesto alle persone, a due a due, di fronteggiarsi, incontrarsi, relazionarsi, accostando le fronti, appoggiando le teste.
Ogni persona avvicina ogni altra persona in un modo differente: con fiducia, diffidenza, sorridendo e incupendosi, irrigidendosi o sciogliendosi, cercando o rifiutando il contatto diretto.
Chi a proprio agio chi si chiude e corruccia: scioltezza o rigidità, imbarazzo o timor d’igiene, sensualità, scoglionamento, esternazione di complessi, manifestazione di tic o idiosincrasie, amore celeste per la vita d’incontro, fronti unte o pacate, e così via. Un set di psicologia prossimale, appunto, da cui si evince che: le corna, le punte, come anche i buchi: son dentro, alla testa.

Qui le gallerie con alcune della Testate di Borcia.

Il lavoro di Vanja è parte del Padiglione Sloveno.

Novembre 2020: cesura a sega (l’imbuto di Teza e Roberto): poi nuovo corso.
Adattamento prossimale?
Ma dopo che cosa mai?
Cambia tutto cambia niente.
Tra le cose di struttura e i passaggi struzzi, triti neonati e già morti, c’è tutta la differenza IMMAGINABILE.
Un paesaggio clinico estermporaneo c’interessa mai (tersa è la mente dell’integro pazzo; oppure, qualora la sua follia si combini con le altre parti essenziali che ribollono e fanno il sangue (estetica) nella carne dalla roccia (demone, bestia, per dirla con Dylan Thomas, ma questo è solo un esempio tra gl’innumerevoli):
il medico è morto, in cronaca insalata (vedi? il nulla-cronico): lo spazio maimalato o sempre (per quanto ci è dato; per quanto ne abbiamo preso) naturalmente dilatato, etcetera.

                                                                                                                    

Quindi appunto da qui in poi all’epoca, voluta o gnorata, delle prossimità mediate, che introduce la facoltà di sbocciare altri trucchi elaborare ricalcolare sistemi distanziali, come le motoseghe, se ancora non avevi capito.

 

 

 

 

 

 

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