Sguardo di Emanuele Caprioli

Altre voci, altre stanze
Arrivato da circa un’ora presso Dolomiti Contemporanee a Borca, mi hanno appena raccontato cos’è la Colonia dell’ex Villaggio Eni. Architettura persa nel paesaggio, entro e mi perdo nel paesaggio architettonico. Qui c’è freddo e buio. Lunghi e larghi corridoi serpentini, come i tornanti di montagna mi trasportano verso l’esplorazione. Tanti piccoli scorci quadrati tappezzano le pareti, mi ricordano il De Stijl e Danny di Shining che vaga per il piano dell’Aula Magna.

Questo luogo mi sembra tanti luoghi postumi dormienti: un’ex colonia piena di oggetti e strumenti impolverati e usurati, un luogo dove i lavori degli artisti sembrano immersi in una dimensione atemporale. Diversi tempi coesistono in un tempo cairologico.

Ho vagato attraverso gli spazi vasti della Colonia. Mi sento inglobato, parte del luogo. Non ho più l’impressione di essere un esploratore in visita, non ho più l’impressione di vedere una linearità temporale, tipica della relazione con l’oggetto abbandonato. Vorrei interagire con qualcosa, che sia con questa stoffa stampata, con l’architettura, gli utensili, la natura. Vorrei stare un attimo qui come un cervo, non distinguere più i layer temporali, gli utensili da opere d’arte, l’architettura dal paesaggio. Un luogo non abbandonato, ma che vive sempre nel presente, non cristallizzato, pronto ad essere stravolto nelle sue inesauribili relazioni.

Perché il cervo?

Non ho dipinto il cervo per una questione simbolica o per riferirmi alla fauna alpina.

Durente i giorni trascorsi in Dolomiti Contemporanee, l’immagine del cervo si è manifestata in forme diverse. Poco prima di arrivare presso l’ex villaggio Eni vediamo un cartello stradale con effigiato un cervo. Arrivati presso gli uffici di Progettoborca, incontriamo Gianluca che,  nel nugulo d’informazioni, ci racconta di un avvenimento che ha come protagonisti un umano e un cervo. Una breve storia che mi ha evocato la dimensione del mito. Usciti dall’ufficio ci avviamo verso l’ex Colonia, dove per un momento mi sono percepito come un cervo selvatico, vagavo per le stanze senza concepire i layer temporali che racchiude questo luogo, le opere d’arte dagli utensili usurati, l’architettura dal paesaggio. E’ trascorsa neanche mezza giornata che questa figura zoomorfa si è presentata in tre forme diverse: rappresentazione, racconto e “impersonificazione”. Il giorno seguente ho visto per un istante la sagoma di un cervo al secondo piano dell’ex fabbrica F.I.O.C. di Cibiana, che mi ha ricordato un vecchio disegno realizzato quando avevo circa sei anni. La sera, prima di coricarmi, ho iniziato a leggere una delle storie presenti in Storie Pallide, un raccolta illustrata di miti popolari delle Dolomiti reinterpretati da due artisti contemporanei, dove viene evocata la figura del cervo: quest’ultima è sommariamente la presenza intangibile che ho percepito di più nei giorni presso Dolomiti Contemporanee. Ho deciso di evocarla sotto forma di rappresentazione incolore, un’immagine quasi invisibile che inevitabilmente muta in relazione allo spazio in cui viene inserita.

Emanuele Caprioli, novembre 2021

 

 

 

 

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