Progettocoperta – PBLab #2 / PBblanketproject

Questo post è stato licenziato nel 2016. E siamo nel 2020.
Nella seconda parte del testo – che è il primo, ribaltamanto temporale – sotto alle trilinea – lanciavamo il progetto coperta.
Che non s’è fermato mai. Senza fretta -serve a nulla- è andato avanti: gli artisti l’han portato avanti, su nostra istigazione.
Altre coperte vengono e verranno: non sono teche nè arche nè urne.
Sono spazi e paesaggi, e la conferma ribadita, questo sì, che la storia rafferma è una fistola perduta, mentre l’uomo è sveglio, quando non dorme, e scava nelle carni macilente della storia.
Mentre riposare o bivaccare nei canalicoli patologici o volar via, sopra alle creste affilate appesi ad un cencio stellare, non equivale a dormire – che sogno.

Già da tempo, Sophie Ko Chkheidze ci ha donato il suo fondo cielo notturno in splendore: pudore e riserbo ce lo fan portare giù solo ora, quinterra.
Disse Sophie qualcosa del genere: vorrei, vorrei che, quando andiamo a dormire, qui a Borca, possa essere il firmamento a coprirci.
E in effetti, quanto direttamente esposti si è, qui, o perlomento quanto lo siamo noi, esposti all’ambiente, agli elementi, alle cose prime decise, qui dove la notte è notte e il bosco bosco fitto, e se piove vien freddo, il sole esplode i colori e spacca le crode, ogni cosa t’assale, chiama sassi se li tiri giù dalla via, nella quiete di quel sempre che ci possiamo permettere (geologico percepito), e così via.
La coperta, in questa foto, è stesa su un letto in una villa: il Villaggio.
Ma la terra bruca buca il cielo, il cielo sfonda il tetto, gli elementi ruotano in frammischio: appunto siamo alla montagna, e ci viviamo dentro.

Sophie Ko Chkheidze, Un uomo dorme all’addiaccio - Foto G. De Donà

 

Nicolò Morgan Gandolfi ha corrugato la sua coperta orogenetica, traendo dalla superficie piana questa plastica ercinica.


(Qua siamo sotto alla trilinea)

Nel corso dell’estate 2016, si è avviato a Borca un nuovo progetto che crea un altro ponte -l’ennesimo- tra la storia eccezionale dell’ex Villaggio Eni di Corte di Cadore ed il presente attivo di Progettoborca, nel quale si lavora a trasformare e risospingere l’enorme potenziale qui a disposizione.
PBLab è la sigla con cui, nel 2014, cominciammo a contrassegnare alcuni specifici progetti, sperimentali e laboratoriali, avviati in Colonia insieme ad artisti e designers.
Il Lab pilota fu PBLab#0, progetto di rebranding sulle coperte che l’azienda Lanerossi realizzò, allora, per il Villaggio stesso. Personalizzati dagli artisti Anna Poletti e Giorgio Tollot, che li hanno trasformati in capi indossabili, essi sono tornati a vivere, esemplificando ancora una volta come arte e creatività intelligente siano strumenti in grado di avviare processi di valorizzazione efficaci.
Un altro importante progetto di rigenerazione, sviluppato in Colonia da Sofia Bonato e Matteo Valerio con il Print Lab experiment, ha consentito di agire sulla coperta attraverso la stampa.

Il Progettocoperta/BlanketProject è successivo, ed è nato quasi per gioco, oppure piuttosto diremmo spontaneamente: come si fan le cose corrette al modo naturale.
A luglio 2016, abbiamo affidato ad alcuni artisti in residenza una coperta (Lanerossi) ed una tazza (Richard Ginori), chiedendo loro di interpretare questi oggetti originali, nati con il Villaggio. Non si tratta di un progetto commerciale: non c’è alcun bisogno di vendere le coperte. E nemmeno, in questo caso, di dare un precisa connotazione curatoriale all’iniziativa.
Gli artisti hanno accettato di muoversi in questo modo sciolto, semplicemente ricavando un’immagine da coperta o tazza d’allora, un’immagine che, ancora una volta, genera un’opportunità rinnovativa di comunicazione legata al concetto di rebranding. Ognuno di loro ha decorato, trasformato, dipinto la propria coperta, che è diventata dunque il supporto per un’ulteriore azione, la quale azione ha messo in campo, oltre agli elementi formali, una serie di ragionamenti culturali o critici legati alla storia della Colonia, di ENI, di Lanerossi.

Le prime copertetazze rivisitate sono state presentate al pubblico nel corso dell’Open-studio di sabato 10 dicembre 2016.
Altre ne son venute, vengono, verranno.

1.      PBLab#0. Anna Poletti e Giorgio Tollot indossano due dei modelli creati. Nel bosco della Colonia. Foto Giacomo De Donà
2/3.   Coperta Lanerossi e tazza Richard Ginori, interpretate da Andrea Visentini. Foto Brando Prizzo
4.      La coperta stampata nel Print Lab experiment da Sofia Bonato e Matteo Valeri. Foto Archivio DC
5/6.   Dettagli della coperta interpretata da Gianni De Val.
7/8.   Dettagli della coperta interpretata da Michelangelo Penso. Foto Brando Prizzon
9/11. Dettagli della coperta interpretata da Marta Allegri. Foto Brando Prizzon
12.    Cristopher si riposa: silenzio. #CristopherDeer

A proposito della coperta di De Val, scrivemmo un dì: … che ha accettato di giocare con questa coperta. il cagnaccio a sei zampe è stupido quanto può diventarlo. una x gli chiude gli occhi: cieco il cane? cieco l’uomo? o son fatti in ENI? chi vomita che cosa? l’assassino porta il guinzaglio, dice gianni? forse che il cane ciecato continua a mangiarsi gli uomini, interi a plotoni, per poi colarne o sputarne fuori quel che resta, l’icona equivalente, spersonalizzata, una macchia rossa di carne sanguinolenta, corpo menomato che si staglia, nei rossi baluginii e lampeggi, nello spazio sospeso dello scuoiamento, industriale, culturale, sociale, esistenziale? sto can sì nero, come di pezza fatto e opposto all’altro; sta teoria dei mutili combattenti-testimoni, usciti dalla fauce del divoratorEspulsore (la fisiologia cel cagnaccio è circolare: più che divorare, trasforma, nel ciclo perenne. è lui stesso a produrre, prima che a consumare, le carni al sangue. a produrle in serie, a produrle sempre, farne scorrere un filo, tener umido l’argine. non è fame la sua. è ferocia, cieca, e traffico, organizzato).

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