Paola Angelini/Anatomia di un turbamento

Paola Angelini ha trascorso un breve periodo in Residenza in Progettoborca ad agosto 2016 (?).
Giunta in Colonia, dopo una prima esplorazione l’artista ha individuato il luogo suo d’azione: la Capanna media, un tempo utilizzata per le attività sociali e didatiche dei bimbi eniani, in seguito riplasmata in Plateau, il denso cantiere performativo di Elisa Bertaglia, prima ricarica d’accumulo per questo spazio remoto.
La Capanna è una sorta di studio naturale, grandi vetrate a separare lo spazio interno ad il bosco selvaggio, che entra, coi suoi verdi cannibali.
E’ anche un’urna, se lo si avverte: contiene quella storia, contiene quegli stessi bimbi. O, forse, i loro fantasmi.
L’acclimatamento emotivo, in Colonia, non è mai facile, nè automatico.
Può esser che, mentre Paola cominciava ad ascoltare il luogo, le impressioni interne cominciassero a prevalere su quelle esterne.
Fuori c’è una natura potente, estroversa, eccessiva, chiara ed evidente: un’esteriorità.
Dall’interno invece, vengono altre voci: interiorità complessa: introversa?
La Colonia ospitò, per anni ed anni, migliaia di bambini. La loro assenza attuale rimarca la presenza d’allora, come un’eco franta.
Alcuni colgono un’incertezza, in questa carenza, di spazio e di luogo, di umanità perduta: traendone turbamento, perchè la scia di quella perdita permane.
La Colonia enorme, ferma per decenni, ora in divenire: ovunque le tracce silenti di un passato sbiadito. Un cimitero sepolto, anche questo genere di sensazioni possono generarsi qui. Non sempre nette, nè confortanti. Qui tutto convive, è necessario rapportarsi ai tempi del luogo, necessario aprire varchi, negli strati di questi tempi molteplici e sovapposti, che sempre riaffiorano, e colpiscono.

Una prima idea: Paola decide di frapporre tra lo spazio interno della Capanna e il paesaggio esterno un elemento intermedio di filtro: comincia a lavorare su alcuni grandi fogli di carta, scarnificandoli, alleggerendoli, rendendoli più sottili e trasparenti. Dovranno poi venire appese alla travatura a mezz’altezza, queste membrane, creando una zona intermedia, un diaframma, attraversato dalla luce verde che inonda.
Lei stessa, inizia ad utilizzare il verde, un verde intenso, atomico.
Crescono alcune prime forme grezze, alpine, di picco.
Nella sua ricerca qui, nel capire dov’è, Paola ha cercato elementi e spunti, nella storia del Villaggio, della Colonia.
Ecco dunque i bimbi, i bimbi d’allora, venire, tornare.
Questa presenza può inquietare: quei bambini d’allora non sono affatto in pace oggi, rispetto allo spazio, nella sua lettura sensibile: questo emerge.
Appesa ad un vetro, la foto in copia di uno di quei bimbi, che alcuni lustri fa visse al Villaggio. E’ seduto su un legno, tra le tende fisse del Campeggio, in tenuta da piccolo esploratore della montagna, sorride.
Ecco che nello studio inzia una lotta.
Ah, la comoda vita del pittore, che incapsulato in vitro ritrae un soggetto immoto.
Paola inserisce il bimbo nella composizione pittorica. Nella trasduzione, il bimbo recalcitra, esce male, rapporto si tende, crepitio lettrico nell’aria. Torto, nero di pece, informe, un golem, come materia oscura che riemerga da un passato avvitato, vibrando in un turbamento.
Non è facile riaccomodare il bimbo qui, la storia nel foglio. Le sensazioni sono predominanti, spingono, tirano.
Il verde si spande, la luce lo attraversa, almeno lui si muove.
Ad un certo punto, passiamo un’informazione all’artista: “lo sai che Edoardo Gellner escluse allora il verde dal piano cromatico di Colonia e Villaggio?”. Quel piano colore, che serviva a concedere agio psicologico ai bimbi, a non farli sentire inghiottiti dall’enorme organismo di cemento.
Paola ci ascolta. Ascolta e avverte, si adombra. Ripone i pennelli. Ora è arrabbiata. In una battaglia, si è trasformato quest’esordio.
Non così comoda dunque, la vita del pittore.
Perturbamento.
Occorre guerreggiare qui, se si vuol trovare l’accordo con questo luogo panico, dalle tensioni grandi. Tra i pieni, ed i vuoti, i vuoti spesso più gravidi dei pieni.
Ecco, uno spunto problematico.
Ora l’artista ha riavvolto i grandi fogli verdi incompiuti. Non li ha stesi ed appesi. Li ha riavvolti, e lasciati in terra, come in un bozzolo.
Cosa diverranno, sapremo.

Foto: Nicola Noro

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