Mattia Pajè/–A – n – T

Una prassi di progetto di Mattia Pajè in Progettoborca.
Ai piedi dell’Antelao, formica tra le orme di volpe, polveri, insetti, fantasma.
Un bivacco all’interno della Colonia, tra un sottoscala ardito di Gellner e i locali delle ex infermerie.
Esplorazione e metodo per un processo di auto-terraformazione umana (72 ore filate, dal giorno alla notte al giorno, la ricerca del filo che leghi l’uomo allo Spazio).

Qui il website realizzato all’artista, nel quale sono raccolti i matertiali audio e video registrati nella Colonia.

Avvio del processo di autoterraformazione: martedì 8 settembre 2015, ore 18.00.
Completamento sequenza: venerdì 11 settembre, ore 18.00.

Ri-abitare uno spazio abbandonato, restituire ai luoghi la facoltà di accogliere presenze umane, è un processo che non può dipendere solo da un intervento sul luogo stesso.
L’uomo, come l’ambiente ha bisogno di ridefinirsi per riattivare una reciproca convivenza.
Il ritmo gioca un ruolo fondante, l’uomo e lo spazio devono contemporaneamente entrare in un habit-loop, un circolo di abitudini che ristabilisce l’abitabilità di uno spazio da parte di un essere umano. Dopo aver individuato la necessità, il fine ultimo, è necessario creare un’abitudine, seguire una routine, un atto rituale, per “sintonizzarsi” con ciò che ci contiene.
Per poter scrivere le modalità con cui avviene il processo di auto-terraformazione (contemporaneo alla terraformazione dello spazio), ogni cambiamento deve essere registrato scandendo il tempo di creazione dell’ abitudine in un ritmo preciso.
Ho individuato in un lasso di tempo di 3 giorni, l’ipotetico periodo minimo per ristabilire il suddetto rapporto. 72 ore consecutive di concentrazione divengono il veicolo verso un successo in questo senso, una gratificazione.
La concentrazione nel tempo è il punto focale del processo, l’intenzione di raggiungere un risultato, materializza potenzialmente il risultato.
Propongo un atto performativo di auto-terraformazione della durata complessiva di 3 giorni (72 ore).
Il modo migliore per non perdere mai l’attenzione sull’obiettivo finale è creare uno scenario in cui l’essere umano deve mantenere uno stato di veglia in periodi definiti.
Da qui la scelta di utilizzare una fiammella, che dovrà rimanere accesa per tutta la durata dell’atto. Unica luce nello spazio, vita, movimento, calore.
Esplorando la colonia viene scelto uno spazio all’interno di essa, viene pulito, reso ospitale, le tracce del tempo passato vengono accompagnate fuori. Inizia il processo di auto-terraformazione nell’abitare lo spazio. Una piccola tenda da campeggio monoposto viene montata nello spazio prescelto, viene accesa una candela nella stanza (l’obiettivo è non far spegnere mai la fiamma, il medesimo fuoco farà consumare più candele).
La fiammella acquisisce nel processo un significato di fragilità, come l’essere umano sul grande corpo della montagna viva. Prendersi cura di lei e fare in modo che rimanga sempre viva e raggiunga il termine del periodo è come affrontare simbolicamente l’adattamento dell’uomo ad un paesaggio estraneo.
Ogni 3 ore verrà scattata una fotografia su pellicola autosviluppante nello spazio prescelto e con essa si fisserà il passare del tempo ed il raggiungimento dello stato finale.
Si cercherà di registrare ogni movimento interiore ed esteriore, ogni forma di vita, ogni rumore presente nella colonia per tutta la durata del processo.
Si creerà così un diario di bordo, una collezione di filmati, fotografie, registrazioni, una sorta di trascrizione di tutto ciò che accade.
Il processo si conclude in 3 giorni, scattando una fotografia ogni 3 ore, per un totale di 25 fotografie (corrispondenti a 24 micro unità di tempo).
Con questa cadenza regolare, durante ogni unità si cercherà di scrivere, in base a ciò che realmente succede, la grammatica dell’auto-terraformazione. 

Mattia Pajè

 

Foto: Giacomo De Donà, courtesy dell’artista
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