Ilaria Fasoli / Genius loci, evoluzioni e atti nel paesaggio

Il Piazzale del labirinto, 1959. Citato come ‘Il piazzale dei giochi nella Colonia di Corte (1959)’ in F. Mancuso, Edoardo Gellner. Il mestiere di architetto, Milano, 1996, 452.

 

Fatto di elementi vivi in dialogo permanente con il giardiniere, il giardino presuppone una co-evoluzione permanente degli esseri di natura e degli umani coinvolti. Da qualunque angolazione lo si guardi, è evidente quanto il giardino sia incompatibile con la mera nozione di museo. Perciò con il passare del tempo non cessa di cambiare forma.

 [Clément [2011] 2012, 32]

 

“Il progetto per il labirinto nasce dall’attenzione e dal fascino che questo spazio remoto e misterioso ha suscitato in me fin dalla prima volta che visitai la Colonia, quando decisi di lavorare nell’ambiente esterno in contatto e rapporto con natura e architettura.

Il labirinto mi colpì nel suo stato di abbandono che da una trentina d’anni o forse più progrediva, nel processo di nascondimento dell’architettura nella natura, facendo sparire mano a mano i tratti originali dello spazio sotto ad un bosco intricato. Mentre le principali vie interne di collegamento dellìarea della Colonia venivano periodicamente curate, lo spazio del labirinto aveva visto negli anni una crescita indisturbata della natura, che ne aveva lentamente occupato l’intera area. Questo boschetto giovane, assieme al crollo parziale di due mura sul lato nord e alle efflorescenze sviluppatesi sulle pareti annerite dal tempo e gli agenti atmosferici, avevano configurato lentamente il labirinto come una rovina abbandonata nel parco, runa sorta di piccolo giardino segreto.

Difficile a quel punto scorgere nella sua interezza l’architettura cinta originaria. E’ a quel punto che ho inziato a sviluppare il programma di rilancio e di riconquista fisica e culturale di questo spazio peculiare.

L’interesse per la riscoperta del luogo ha permesso di avviare un progetto volto alla riconquista del labirinto perduto, per riportarne alla luce le sembianze architettoniche, sfruttando il processo di manutenzione e pulizia del verde come un terreno di sperimentazioni per le arti visive.
Il progetto, denominato “Genius loci” evoluzioni e atti nel paesaggio, opera dal 2018, ponendosi come un veicolo espressivo di pensieri e pratiche,  in dialogo tra passato e contemporaneità.

La ricerca avviata ha condotto all’acquisizione di parte dei  disegni e progetti originali di E. Gellner conservati presso l’Archivio Gellner dell’Università Iuav di Venezia.

Sono così “riemersi” le viste e gli studi originari di questo spazio, edificato come un giardino racchiuso, già presentati nella mia Tesi di Laurea (IUAV 2020) Tra labirinto e hortus conclusus. Uno spazio perduto e recuperato nel Parco giochi del Villaggio Eni di Borca di Cadore”.

                                                                                                 Ilaria Fasoli, settembre 2020

 

Sun, and forever

Ingresso del Labirinto, Prove di timbro su betulla, settembre 2020. Si tratta di un timbro realizzato appositamente in bronzo e ottone.

 

“La volontà di contrassegnare il processo di riconquista in atto, unisce in questo lavoro due particolari momenti e modi di rappresentare la propria individualità legati alla tradizione del passato: il mondo simbolico delle ‘imprese’ rinascimentali e quello dei ‘segni di casa’ della cultura cadorina.

Il girasole nato nel labirinto dopo Vaia, fiore dopo la tempesta, rappresenta il segno di una rinascita e di una trasformazione da tempo iniziata e tutt’oggi in corso nella Colonia e nel labirinto di Borca. Attraverso un lento e faticoso lavoro di giardinaggio e recupero, questo spazio riprende forma e funzione.

La ‘labrys’ (la scure a due lame inserita nel logo-timbro) cita lo strumento impiegato dai minatori per scavare le trame cave dei labyrinthos, come per gli esemplari trovati all’interno dei labirinti cretesi, nonché l’evoluzione del simbolo della farfalla, già antichissima icona di trasformazione.

Già con Clizia e Apollo il girasole rappresentava l’amore verso un solo oggetto costante e affezionato; nel Mondo Simbolico di Piccinelli (1653) il motto per l’impresa “Soli, et semper” esplicita doti ed impegni fisici e morali legati a costanza, perseveranza, impegno, guidati da un solo scopo, e fede nell’auspicio che lo sguardo sia rivolga sempre verso la luce del sole, simbolica fonte di verità e speranza.”

 

Evoluzione del lavoro

“Nell’ottobre del 2018, la furia di Tempesta Vaia si è abbattuta sulle Dolomiti e sul Villaggio di Corte, arrecando alcuni danni anche nella zona del labirinto, lasciandolo come una landa rivoltata: radici scoperte, sassi, legno, ammassi e ceppaie.

La tempesta non ha comportato la resa totale dell’oggetto alla potenza della natura, suggerendomi l’innesto di un processo di resilienza.”

Là dove ieri si camminava, non si cammina più, là dove non si passava, oggi si passa. È dunque proprio la perpetua modificazione degli spazi di circolazione e di vegetazione che giustifica il termine di movimento ed è il fatto di gestire questo movimento che giustifica il termine di giardino.

[Clément [1991-2007] 2011, 39]

 

“Si è dunque ripresa l’operazione di pulizia, ricavando spazio soprattutto grazie al taglio degli abeti, e salvaguardando altre specie già presenti.

Nell’estate 2019, un fiore spontaneo è sbocciato al labirinto, stagliandosi sul grigio cemento e il versante ancora carico di alberi abbattuti.”

“La germogliazione spontanea del girasole ha portato al labirinto un segno della trasformazione del ciclo vitale che si rinnova, un processo di rigenerazione continua e un simbolo di trasformazione fertile.

Il periodo di fioritura del fiore (agosto-settembre 2019) è stato seguito finché mi trovavo al lavoro nel labirinto. Una volta appassito, ne ho conservato il corpo preparandolo all’essiccazione in un luogo buio e protetto dagli animali che ne avrebbero mangiato i semi, in una zona chiusa di deposito, al piano terra del dormitorio più vicino. È stato così avvolto nella carta e poi nella yuta per conservarlo e poterne raccoglierne più tardi i semi. L’intenzione è di farli germogliare per poterli coltivare.”

Fatto di elementi vivi in dialogo permanente con il giardiniere, il giardino presuppone una co-evoluzione permanente degli esseri di natura e degli umani coinvolti. Da qualunque angolazione lo si guardi, è evidente quanto il giardino sia incompatibile con la mera nozione di museo. Perciò con il passare del tempo non cessa di cambiare forma.

[Clément [2011] 2012, 32]

 

Lo sconvolgimento dei meandri scavati nel labirinto ha dimostrato quanto il lavoro nel giardino sia suscettibile di continue revisioni e adattamenti.

Gli alberi caduti e piegati e i pesanti scarti (ceppaie e altro) gettati nel labirinto dall’impresa boschiva che ha praticato l’esbosco post-vaia, impresa che ignorava del tutto le mie intenzioni, ha posto nuovamente il problema dell’agibilità e gestione dello spazio, e del ripensamento dei caratteri della sua fruizione. In me il desiderio di ristabilire un ordine all’interno del labirinto, la cui lettura fosse possibile dall’esterno, e dove risultasse chiaramente percepibile il processo di cura in atto.

L’idea già contemplata in passato di ristabilire ed organizzare con il tempo una copertura vegetale è stata messa in pratica dall’estate del 2019. Durante diversi brevi periodi in Residenza, si è proceduto al giardinaggio nello spazio, attraverso tagli, sradicamenti, potature, e molti spostamenti di verde tagliato. E’ stata posta molta attenzione allo spazio tra le piante, guardando in particolare agli insegnamenti del paesaggista giardiniere Ippolito Pizzetti, per il quale risulta centrale il gioco di distanze e relazioni di cui necessitano le piante per crescere e vivere. Si difendono pertanto gli esemplari adulti e più rari, di cui vi siano pochi esemplari nel labirinto.

 

Atto I, 2018

 

Lo spazio richiama l’azione, e, prima dell’azione, l’immaginazione lavora. Essa falcia e ara.

[Bachelard 1975, 40]

“Sulla base delle condizioni naturali di abbandono in cui versava il luogo, l’idea per una prima azione nel labirinto è stata quella di avviare un lavoro di disboscamento che avesse come fine l’aprire nuovi varchi nel fitto intricato, al fine di rendere lo spazio di nuovo percorribile, rendendo visibili i tracciati e la morfologia interni, quasi perduti.

L’invasione (del Villaggio) ad opera del bosco voluto dallo stesso Gellner, ha fornito un pretesto per lavorare sullo spazio relazionandosi con il paesaggio, e il mondo vegetale, ragionando sul modello labirintico e contemporaneamente sulla coltura e cultura del giardino.

Ho proceduto scegliendo dapprima un punto favorevole nella zona dell’entrata, da cui sarebbe iniziata la fase di “scavo” nella vegetazione, avanzando con strumenti da taglio manuali che permettessero un’azione individuale, silenziosa e un processo più controllato. Ho potuto aggirare ostacoli e creare passaggi ad ampiezza più o meno ampia a seconda della variabile densità arborea dell’area. Nel far questo, ho agito senza trascurare ciò che avrei incontrato: sono stati eliminati diversi piccoli e medi fusti a terra, derivati da schianti vaiani, e sono stati rispettati gli elementi della flora e della fauna più piccoli e fragili, come rari esemplari di ciclamino selvatico e un piccolo nido.

Ritracciando i sentieri ho percorso l’intera architettura interna, trasformando il labirinto da bosco impenetrabile a spazio ripercorribile, attraverso tracciati creati dal verde delle fitte conifere. Un’azione che ricolloca il labirinto sul piano della fruizione ludica e culturale attraverso la coscienza, la cura e la riconquista di spazio nell’ambiente.”

 

Un luogo segreto. Sguardo degli ex bambini sul labirinto dell’Eni.

Estratto da I. Fasoli ‘Tra labirinto e hortus conclusus, uno spazio perduto e recuperato nel Parco giochi del Villaggio Eni di Borca di Cadore’ Tesi di Laurea, 2019, pp. 37-40.

Finestra sul labirinto, agosto 2018

Nel dialogare tra il tempo passato e quello presente, si è inteso cogliere l’opportunità di ricreare un dialogo con le persone che nei decenni vissero la Colonia (gli “eniani”: dalla fine degli anni ’50 ai primi ’90) considerando la loro partecipazione molto attiva alle visite guidate proposte da Dolomiti Contemporanee dal 2014 ad oggi, come anche nei gruppi Facebook da essi organizzati (ex Colonie Eni). Per raccogliere testimonianze storiche su  labirinto è stata posta una domanda agli “eniani” attraverso i gruppi Facebook, al fine di recuperare informazioni circa l’uso, la percezione o ricordi di quegli anni.

Dai racconti è emerso che lo spazio era frequentato molto di rado e perfino che molti dei frequentatori della colonia non sapevano nemmeno della sua esistenza. Barbara Casali, prima da bambina e poi da assistente in Colonia per molti anni, sostiene di aver scoperto quella zona dopo anni di permanenza, ma di non essersi mai resa conto che fosse un labirinto. Così molti altri non ricordano l’esistenza del labirinto, nemmeno dopo averne visto una foto. “Sono stata qualche giorno fa a visitare la Colonia, il labirinto è l’unico spazio di cui non ricordavo l’esistenza” spiega Silvia, mentre Alessandra, alla vista della fotografia, ricorda qualcosa, ma non con chiarezza. La maggior parte delle attività ricreative, rigorosamente sorvegliate, pare venissero svolte negli spazi più vicini e facilmente raggiungibili come l’aula magna, le capanne e il campo da calcio. Così, da assistente, durante la preparazione di una caccia al tesoro, Barbara scopre casualmente il labirinto, rendendosi conto della presenza di questa “una zona ‘strutturata’”: “ho avuto l’impressione di aver scoperto una zona archeologica inesplorata”, scrive, “trascurata e remota, misteriosa e affascinante”.

Tra coloro che rispondono ai miei post, Silvia è l’unica a ricordare di avervi giocato da piccola. Racconta che un anno al suo gruppo fu assegnato quello spazio e ne ricorda la vasca e le strutture in ferro su cui ci si poteva arrampicare, ma anche che il posto non veniva chiamato ‘labirinto’:  per quell’anno quello “era il nostro giardino”, spiega, tra i ricordi emozionati che cominciano a riaffiorare. Tra l’entusiasmo delle memorie degli eniani appare infine una parente di Silvia, Sara, che scrive come dopo aver visto la foto, il ricordo fino ad allora vago del labirinto si è fatto chiaro: “Ci andavano i grandi” dice, dimostrandoci ancora una volta che lo spazio confinato, lontano come un giardino segreto, sarebbe stato interdetto ai più giovani (in Colonia venivano ospitati bambini dai sei ai dodici anni di età.”

 

Qui di seguito vengono riportati i commenti più isignificativi raccolti nei post dagli ex frequentatori della Colonia (eniani).

 

Simona Sim: Labirinto?!? Non me lo ricordo.

Silvietta Silvia: Neanche io … un labirinto non lo ricordo.

Barbara Casali: credo di aver capito dov’era… praticamente oltre al campo scoiattoli, sotto il padiglione F… zona frequentata pochissimo, forse perché dislocata molto in basso rispetto a tutto il resto…inoltre la presenza di costruzioni di cemento penso la rendesse un po’ inadatta alla sicurezza dei bambini… Ho scoperto questa zona dopo anni, (la superficie esterna della colonia era talmente grande che ogni tanto sembrava apparire qualche angolo sconosciuto..) e mi è sembrata una zona un po’ trascurata e remota, misteriosa e affascinante… ma non mi sono mai resa conto che fosse un labirinto Grazie per averlo riportato alla memoria.

Barbara Casali: sono stata a Borca da bambina (ma non ricordo il labirinto) e sono stata assistente dall’84 al 2001..il “labirinto” l’ho scoperto perché organizzando una Caccia al Tesoro abbiamo cercato di sfruttare spazi più ampi del solito. Mi sono resa conto che non era solamente parte della pineta ma era una zona “strutturata”… ho avuto l’impressione di aver scoperto una zona archeologica ancora inesplorata.. sembra incredibile non averla mai notata, ma come avrai visto gli spazi erano enormi.. i campi si potevano usare tutti, ma di solito si frequentavano sempre un po’ le stesse aree, specialmente quelle adiacenti ai soggiorni, un po’ per abitudine un po’ per comodità. comunque non l’ho adottata come area di gioco in quanto appunto il cemento non è tanto compatibile con la sicurezza, i bambini giocando avrebbero potuto farsi male o imbattersi in qualche animaletto tipo serpe o scorpioncino (non erano rarissimi).

Alessandra Barotti: Vista l’immagine mi è tornata alla memoria. Una zona forse frequentata da bambina in colonia ma non sono certa… Ricordo che giocavamo fuori e forse la usavamo per nasconderci. Da animatrice mai portato bambini li. Era zona non frequentata.

Silvia Rom Clandestina: Ciao Ilaria, sono stata qualche giorno fa a visitare la Colonia, il labirinto è l’unico spazio di cui non ricordavo l’esistenza. Temo che nelle mie permanenze in colonia non mi ci abbiano mai portato…mentre ricordavo benissimo tutto il resto, compresa la gabbia dell’orso, vuota…

Marco Miola: Mmmmm anche io non ho ricordi di questo labirinto….mi dispiace di non poter essere di aiuto…

Annalisa Borgognoni: Idem…nemmeno io lo ricordo.

Francesco Paolo Gismondi: Anche io, pur avendo passato più stagioni nella colonia, non sapevo dell’esistenza del labirinto. Assolutamente fantastico. Sempre nuove scoperte…

Saba Ornella: Nessun labirinto ho frequentato la colonia dal 1966 al 71 e poi 2 anni di campeggio, mio fratello dal 1964 ma anche lui non conosce questo spazio abbiamo avuto la possibilità di conoscere gli orsi Misha e l’altro non ricordo il nome, il cerbiatto, ma il labirinto no.

Silvia La Viola Santa: Ciao Ilaria Fasoli. Ho frequentato la colonia x 5 estati dal 76 all’80,non ho mai sentito parlare del labirinto però guardando la foto forse in questo posto ci sono stata, per caso li vicino c’è una vasca a forma ottagonale (forse) che un tempo conteneva uno stagno? Almeno così dicevano.

Silvia La Viola Santa: Ilaria non so precisamente cosa vorresti sapere. Posso dirti che ogni gruppo di bambini aveva un “soggiorno” così li chiamavano, dove si trascorreva il tempo libero, e quasi tutti i soggiorni avevano uno spazio all’aperto più o meno grande. Credo fosse il mio terzo anno in colonia quando ci fu assegnato appunto quel soggiorno con quello spazio. C’era appunto la vasca e ricordo anche delle strutture metalliche dove ci si arrampicava e si facevano acrobazie (oggi da mamma non ci avrei fatto salire i miei figli ). In giardino ci facevano stare quando il tempo lo permetteva. Si cantava, si ballava, si recitava e si preparavano costumi e scenografie per la rappresentazione di fine turno. Mi sto commuovendo, l’infanzia più bella del mondo.

Silvia La Viola Santa: Ilaria, purtroppo non chiamavamo labirinto quel posto che io ricorda, era il nostro giardino x quell’anno. Non ricordo se la gabbia degli orsi è sempre nello stesso posto dove è lo stagno e il labirinto. La colonia come ben sai esiste davvero da tanto tempo tanto che ci è stata anche una mia zia che oggi ha 68 anni, e negli anni cambiavano tante cose, gli orsi non c’erano già più quando arrivai la prima volta.

Sara La Viola: Il labirinto mi diceva qualcosa, appena vista la foto me ne sono ricordata. Ci andavano “i grandi”.

 

I commenti originali degli ex frequentatori della Colonia sono raccolti all’interno delle pag. 39-40 della tesi di laurea all’interno dell’omonimo capitolo. La tesi è disponibile per la consultazione negli uffici di Progettoborca o previa richiesta all’indirizzo e-mail fasolilaria@gmail.com.

 

KinderSPace - call for application

Ilaria Fasoli, Senza titolo (braciere) calotta di un lampione divelto del parco, ferro, legno, fuoco, 2019

Nei primi schizzi del parco giochi per la Colonia, accanto alle idee per gli impianti e l’allestimento del giardino, Gellner riporta la sigla ‘KSP’ per classificare il disegno in funzione di archiviazione. Non avendo trovato legende di riferimento, ho dedotto che la sigla potesse indicare ‘kinder space’ ‘spazio bambini’, dedicato ai giochi.

Operando alla riconquista del giardino in senso pratico ed estetico, il labirinto intende aprire le proprie vie a un nuovo livello di connessioni e collegamenti e stabilire nuovi possibili punti di contatto con la ricerca e le opere d’arte, istituendosi come spazio, scenario e motore di ricerca per l’allestimento di opere e interventi.

Secondo alcune ipotesi da me descritte e motivate nella ricerca di tesi inoltre, il labirinto è lo spazio prescelto da dedicare ad attività riflessive e contemplative vicine al mondo dell’arte, considerando la quiete della posizione distante rispetto alle altre strutture e la dimensione propria del ‘giardino’, anche in relazione all’acqua, unica fonte in tutta la Colonia, che avrebbe ricreato una dimensione calma e meditativa e che spiegherebbe l’assenza di recinzioni lungo i suoi bordi, causa dell’abbandono precoce, di incomprensione, negligenza e dubbi sulla sicurezza del luogo.

Il desiderio di ‘creare nuove prospettive’ unisce insieme il mondo e lo sguardo dell’artista con il bambino in un legame ormai noto e profondo, fatto di momenti di sperimentazione, scoperta e conoscenza, conducendo, nel primo caso, istinti, interessi e la volontà di fare scoperte oltre la soglia del gioco e dell’infanzia.

Ecco perché il loro accostamento incalza l’idea di uno spazio ripensato in qualità di giardino ma anche di ‘scenario’ di opere e processi: il labirinto come spazio e proposta di un progetto e modello curatoriale che utilizzi i propri scenari alternativi a quelli convenzionali per visualizzare e organizzare esperienze condivise di arte contemporanea, visibili nei tempi dell’allestimento e attraverso le vetrine della rete e dei social network, permettendo di installarvi con mezzi oltre il limite che il contesto dello spazio aperto normalmente porrebbe. Questo tipo di operazione si pone in linea con le odierne modalità di fruibilità dell’opera che vedono nelle pagine web lo scenario privilegiato della sua visibilità, sperimentando nuove modalità espositive e spazi alternativi per le esposizioni di opere d’arte e dei progetti site-specific in dialogo con il luogo.

Il labirinto e l’ex spazio giochi si pongono dunque in questo progetto come contesti aperti, capaci di contenere e al contempo produrre spazi di senso, che veicolano espressioni dalle infinite narrazioni e suggestioni che nel giardino possono essere ospitate.

 

Call

 

Se sei interessato al progetto e hai una proposta o una domanda da farci puoi scrivere un’e-mail a info@dolomiticontemporanee.net e fasolilaria@gmail.com con oggetto Kinderspace – spazio labirinto inviandoci il tuo materiale o richiesta. Avremo piacere di leggere e discutere le tue idee. Grazie

 

 

 

 

 

 

 

Tweet about this on TwitterShare on FacebookGoogle+Share on LinkedIn