Studio visit alla Colonia (8 novembre) – foto e video

nube bassa di nebbie ieri (era l’8) a borca, ad ingoiare la natura ingoiatrice (la foresta di borca, che vorrebbe ingoiarsi il villaggio: ma non ci riesce, lei vi entra, lui vi si spande).
cielo cupo, pochi radi lampi, di quella lenta luminosità in opale, da sopra, presto reinghiottiti dalla cappa umida, e, diremmo, maravigliosa (forse teme l’acqua il bimbetto con la lenza nel botro -ma no, nemmeno lui, la teme-, ma questi crociereristi qui se la ridono, e la tiran su avidamente dalle suole delle clarks, suggendo la falda: nulla ostacola questo processo di nutrimento).
non c’è modo alcuno di desaturare questo sito, la cui incandescenza ora è stata presa e rivoltata: e viene aperta.
ogni volta che riapriamo la colonia, gli ospiti nuovi la vedono un poco più accesa, incendiata, e i loro occhi sono ben aperti, come vuoti e capienti, e li carichiamo.
gli spazi non sono deserti né silenziosi né fermi, finito quel tempo…

 

…le persone e le cose: gli oggetti e le intenzioni, la circolazione delle persone: sembra un giardino, ora, questo dedalo, un giardino costruito, finalmente, la colonia, incrociata dalla genti, che si spostano e raggiungono i fulcri d’attivazione, le postazioni in cui gli artisti han concentrato concentrano il proprio sguardo nella cosa, prendendo le parti del gran corpo dalle sue viscere, i suoi frammenti, i colori, gli intonaci, i mobili, i ferri, i vetri, le porte, le carte, le sedie, i legni, i resti, lo sporco, gli oggetti dell’infermeria, le tende, gli alberi, i tronchi, le legne, per nutrire le stufe maioliche ormai sempraccese, le plastiche, gli aghi, e le geometrie, i suoni, gli scorci, la forza, gli spaesamenti, i riposizionamenti, le paure, le solitudini, le estroflessioni e i rigurgiti, e le altre cose, tutte.
questi materiali, corpo scisso in atomi della gran colonia, loro stessi alimentano la colonia ora, come aver spaccato una vena per ritrovarvi un sangue caldo, nient’affatto rappreso, e lo si lecca, e lo si sversa, e si riempiono i contenitori, ed è una lava, che sgorga, e attiva i magli, e il pulsare si avverte, e lo si vede, non più il solo respiro del bosco ora, ma il brulichio, c’è la ridomesticazione dello spazio, non più alieno, non più chiuso, non più muto, ed è facile ora aggirarsi per la colonia, l’anno prossimo avremo i tricicli elettrici, o a vapore, ma è facile, già ora, muoversi nel corpo della colonia, e ci si perde volentieri, quando accade, ancora, perché poi ci si ritrova, ci si è ritrovati, si è ritrovato lo spazio, lo spazio è attivo, ridomesticazione significa che “loro vivono qui”, anche, che par ora di aggirarsi nella casa, una grande casa distesa, di milleduecento stanze, dalle quali vengon via le polveri, e vengon fuori e su le memorie, riprese nell’azione, i sensi, nella riemersione degli oggetti, che c’erano già, da sempre, ma che non c’erano più, da tempo: ed ora ci sono, accesi.
nube bassa di nebbie ieri a borca, ad ingoiare la natura ingoiatrice, ed è stata una gioia, entrarvi, e camminare, questo serpente caldo di persone nella bocca del gran corpo piantato, a percorrerne le radicazioni, il loro calore catturato da stefano cagol, gli altri nuclei di forza ed energia, di sandra, stefano, fabiano, elisa, luka, marta, jeremy, chiara, gino, marco, e di me, marcello, veronica, alice, giacomo, paolo, sergio, introiettati dai camminatori delle rampe, un serpente le cui spire, in tesa torsione riflessiva, avvolgendo lo spazio, dall’interno, canalizzazione dinamica, han rilasciato le onde all’esterno, e l’acqua, ne abbiamo visto più di qualche stilla, vaporizzava veloce dai rami, dagli aghi, dai tronchi, rialimentando la nube (e quindi eravamo noi dentro, diremmo, a gravare sul cielo, e non viceversa: sotto era più carico, ed il buio si è svolto, chiaramente, in luce).

gianluca d’incà levis

 

#dolomiticontemporanee   #progettoborca

 

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